mercoledì 31 marzo 2010

La banalità del male

La banalità del male
da micromega-online

di Roberta De Monticelli
Parlo a chi si è svegliato ieri mattina con la morte civile nel cuore. La disperazione civile, per essere più esatti. Sotto i nostri occhi il trionfo di uomini e donne il cui massimo ideale morale suona, urlato sulle piazze: “via le mani dalle nostre tasche”. Il cui primo concetto si esprime, in grevi lingue locali: “padroni a casa nostra”. Uomini e donne che plaudono alla libertà del malaffare, che trovano normale distribuire a figli e amanti cariche e risorse pubbliche, normale umiliare il mestiere dell’informazione fino a farne fabbrica di menzogne o di indifferenza alla distinzione fra il vero e il falso, normale sputare sui principi costitutivi di uno stato di diritto, laico e democratico.

Non di questo però voglio parlare, ma di un fatto – se è un fatto – che di tutto questo riassume e concentra in sé la pura essenza, anzi l’impura, mediocre essenza, mista di incoscienza e ignavia: le forze del nulla. Voglio parlare della ragazzina abusata in classe, in una scuola media di Salò, nell’assoluta omertà dei suoi compagni e delle sue amiche, e sotto lo sguardo indifferente del professore. Di questo professore voglio parlare, in primo luogo. Che continua a fare lezione, come se nulla fosse, fingendo di non accorgersi del trambusto, delle risate, del dolore, dell’orrore lì a pochi metri, in fondo alla classe. Come definire questo comportamento? Lasciamo stare il risvolto penale, l’omissione di soccorso e di esercizio della propria autorità di pubblico ufficiale e di insegnante.

Restiamo ai termini morali. Come definirlo? Irresponsabile? Vile? Infame? Gli aggettivi non bastano e non dicono. C’è di più e di meno, c’è quel nulla indicibile che rende inadeguato ogni aggettivo: non so, non vedo, non ci sono, non me ne frega niente. In secondo luogo, dei ragazzi e delle ragazze voglio parlare: che ridevano, o tacevano, e coprivano i violenti. Come definirli? Hanno a tal punto la mafia nel sangue, i ragazzi di questo Paese, a dodici anni? A tal punto l’omertà è nei loro geni, che perfino le amiche della ragazza stanno zitte invece di urlare contro lo schifo, la vergogna, l’orrore?

Anche qui gli aggettivi non dicono giusto. Perché non sono fatti per dire il nulla, il non: dell’indifferenza, dell’ignoranza, dell’inconsapevolezza senza fine e senza rimedio. E infine della ragazzina abusata, voglio parlare, che subisce tutto senza rivoltarsi, e poi scrive alla madre: “scusa, ho fatto una cosa schifosa, non voglio più vivere”. Come definire questo comportamento? Silenzio dell’innocente, oscena complicità con il male che si subisce, o tremenda indistinzione fra dolore e colpa, fra impotenza e violenza, fra l’ignobile e il giusto?

No, gli aggettivi non dicono il non che il fascismo rimasto attaccato alla nostra lingua dice invece così bene: me ne frego, ti frego e ne godo, sono fregato. E non ce ne frega niente.
Ma la situazione dice tutto, liscia come uno specchio. Quel professore, siamo noi. Molti di noi che avrebbero sapere e autorità per intervenire e denunciare, e continuano a fare la loro lezione, invece. Quei ragazzi, quelle ragazze, perdutamente inconsapevoli del destino di servitù che ha già divorato l’anima loro, siamo noi, noi che abusiamo della povera vita del nostro prossimo ghignando di soddisfazione, noi che alziamo le spalle per marcare la nostra indifferenza, e di fronte ad abusatori ed abusati diciamo: “sono tutti uguali”.

Quella ragazzina violata e sospesa dalla scuola insieme con i colpevoli siamo noi. E’ questa patria straniera, umiliata, sfigurata dalla vergogna. Che ha fatto una cosa schifosa, e non vuole più vivere.


(31 marzo 2010)

La Gelmini cancella la Resistenza. L’Ass. Partigiani (Anpi): una vergogna

La Gelmini cancella la Resistenza. L’Ass. Partigiani (Anpi): una vergogna.
Roma.indymedia.org

autore:
Alessandra Ricciardi
Semplicemente non c'è. Nei nuovi programmi di storia che si studieranno dal prossimo anno nei licei non si parla di Resistenza. Così come antifascismo e Liberazione non sono neanche citati. Il buco è al quinto anno, dedicato allo studio dell'epoca contemporanea, dall'analisi delle premesse della I guerra mondiale fino ai nostri giorni. La nuova articolazione, spiegano dal dicastero di viale Trastevere, è stata dettata dalla necessità di evitare che succedesse, come spesso è successo, che non si arrivasse neanche a fare la II guerra mondiale. Troppo poco, ecco perché la commissione per la storia, presieduta da Sergio Belardinelli, ha deciso di assegnare un intero anno di studi al Novecento. Nella formulazione dei temi fondamentali, le indicazioni nazionali precisano che «non potranno essere tralasciati i seguenti nuclei tematici»: l'inizio della società di massa...«il nazismo, la shoah e gli altri genocidi del XX secolo, la seconda guerra mondiale, la guerra fredda (il confronto ideologico tra democrazia e comunismo), l'aspirazione alla costruzione di un sistema mondiale pacifico (l'Onu), la formazione e le tappe dell'Italia repubblicana».
Si passa poi alla formazione dell'Unione europea e agli Usa, «potenza egemone, tra keynesismo e neoliberismo», senza tralasciare «il rapporto tra intellettuali e potere politico», da affrontare in modo interdisciplinare. A differenza dei vecchi programmi, parole come antifascismo, Resistenza, Liberazione sono sparite. «Nessuna operazione di rimozione», dice a ItaliaOggi Max Bruschi, consigliere del ministro dell'istruzione, Mariastella Gelmini, e presidente della cabina di regia sulle indicazioni nazionali dei licei. «I programmi hanno individuato alcuni nuclei fondamentali lasciando grande libertà alle scuole, ai docenti. Quando parliamo di seconda guerra mondiale e della costruzione dell'Italia repubblicana per noi è evidente che è inclusa la Resistenza». Eppure sulla Shoah, per esempio, si precisa che lo studio deve ricomprendere anche gli altri genocidi, una precisazione che manifesta una sensibilità storica e politica sui cui non si è disposti ad affidarsi all'autonomia e alla bravura dei docenti. «La Shoah è un unicum, poi ci sono altri genocidi su cui non si può far finta di niente. Ciò non toglie, sull'altro fronte, che la Resistenza è un valore imprescindibile, mai pensato di declassarla». Il punto è che un elenco di fatti significativi di un periodo può facilmente essere accusato di parzialità se non li cita tutti. «Il nostro non è un elenco esaustivo e prescrittivo, abbiamo solo indicato macrotemi», dice Bruschi. Che nega che possa esserci il rischio che la Liberazione finisca per essere liquidata in due righe e la lotta partigiana magari in una nota. «Che esagerazione, non c'è nessun rischio di questo tipo. Ma se il fatto che nei programmi non c'è la parola Resistenza è un problema, allora... possiamo sempre reinserirla», ribatte.
I programmi infatti non sono ancora definitivi. Genitori, insegnanti e associazioni possono dire la loro alla Gelmini sul forum dell'Indire. C'è tempo fino al 22 di aprile.
“Protesteremo, protesteremo con il ministro Gelmini, innanzitutto. E coinvolgeremo tutti a tutti i livelli, politici, sindacalisti, storici, perché si rimedi a un grave errore, una vergogna». Al telefono dalla sua casa romana, il 91enne Massimo Rendina, medaglia d'oro della Guerra contro il nazifascismo, presidente dell'Anpi di Roma, l'associazione nazionale partigiani d'Italia, ha l'indignazione appassionata di quando era partigiano a Torino. Eppure dal ministero assicurano che non c'è stata nessuna volontà politica di cancellare la Resistenza o la Liberazione non citandole espressamente nei programmi di storia... «È una dimenticanza pericolosa. C'è il tentativo, da un po' di tempo, di rimuovere il nostro passato, la cui conoscenza è già così flebile. Si vuole mettere tutto sullo stesso piano, tutti colpevoli e tutti innocenti, i ragazzi partigiani e i repubblichini di Salò, senza così far capire come è nata l'identità democratica dell'Italia». E ricorda come, ministro della pubblica istruzione Rosa Russo Iervolino, «ci fu il primo riferimento diretto nei programmi di storia al fascismo, l'antifascismo e alla Resistenza. Il ministro Berlinguer poi lo chiarì con una circolare. Tornare indietro è un errore dal punto di vista culturale e politico, una lesione alla memoria storica del paese». C'è chi rivendica la necessità di riscrivere la storia di quegli anni dolorosi, di mettere in luce gli errori e i delitti commessi da una parte e dall'altra. «Ma glissare sulla Resistenza, con la scusa che tanto è compresa tra le tappe dell'Italia repubblicana, farla finire magari in una nota a piè di pagina di un libro di testo, non è revisionismo, è confusionismo», ribatte Rendina, «io vado in giro nelle scuole, i ragazzi non sanno nulla... Non c'è bisogno di confondere le acque, non gli facciamo un buon servizio».

Articolo originale - Italia Oggi

Sindacato Polizia: espulsioni non colpiscono criminali, ma vittime

Sindacato Polizia: espulsioni non colpiscono criminali, ma vittime
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‘Magari espellessimo i veri criminali, sempre piu’ spesso riaccompagniamo alla frontiera lavoratori irregolari, a volte denunciati da italiani che vorrebbero il loro posto di lavoro. Questo tipo denunce, con la crisi economica, sono cresciute’. Lo afferma Felice Romano, segretario generale del sindacato di polizia Siulp, in un’intervista pubblicata oggi su www.stranieriinitalia.it, il portale dell’immigrazione.
‘Paradossalmente – spiega Romano – riusciamo ad identificare ed espellere molto piu’ facilmente i cittadini stranieri che sono arrivati regolarmente in Italia, avevano un permesso di soggiorno, ma poi con la crisi e per la complessita’ della legge sull’immigrazione hanno perso il lavoro e il permesso. Con chi e’ arrivato irregolarmente e’ molto piu’ difficile’.
Il segretario del Siulp denuncia poi la mancanza di fondi per gli accompagnamenti alle frontiera. ‘Sono mesi – racconta – che i poliziotti anticipano i soldi per gli accompagnamenti alla frontiera, da quelle per l’albergo a quelle per i pasti. In Trentino, non appena i poliziotti hanno detto basta, sono stati annullati servizi gia’ predisposti’.

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