martedì 1 febbraio 2011

La bandiera della dignità (Rodotà) su La Repubblica

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da La Repubblica 
1 febbraio 2011

La bandiera della dignità

di Stefano Rodotà

L’ITALIA s’è desta? Le parole un po’ logore dell’Inno di Mameli sono forse quelle che meglio descrivono un panorama sociale che ha visto in queste ultime settimane appunto un risveglio civile.

Un risveglio persino inatteso, e che fa riemergere una idea e una pratica della politica che sembravano scomparse, sequestrate dall’intreccio perverso tra derive oligarchiche, uso privato del potere, perdita dell’etica pubblica, degrado del linguaggio, azzeramento della dimensione argomentativa.
E’ sempre opportuno non abbandonarsi ad entusiasmi frettolosi. Ma è altrettanto sbagliato non cogliere i segni del mutamento, sottovalutarli solo perché non stanno negli schemi canonici, e anzi se ne distaccano.

Nei mesi passati avevamo sofferto il silenzio della democrazia, emblematicamente testimoniato dalla chiusura del Parlamento, e l’assenza della politica come capacità di guardare a fondo nelle dinamiche reali. Ora quel silenzio è stato rotto, la voce è quella di persone che trasformano l’indignazione in richiesta perentoria di cambiamento, restituendo così alla politica quella presenza che sembrava scomparsa.
Elogio tardivo del movimentismo? Ricordiamo, allora, le parole che aprono Millennium People di James Ballard: “Una piccola rivoluzione stava avendo luogo, così modesta e beneducata che quasi nessuno l’aveva notata”.

Chi sottovaluta, o pensa solo di strumentalizzare, il variegato mondo di quelli che protestano, manifestano, si organizzano, non si rende conto che questa novità sociale interviene nel cuore di una crisi drammatica, ne denuncia la gravità foriera di grandissimi rischi, e indica pure una via d’uscita. Proprio la drammaticità della situazione che stiamo vivendo obbliga a cogliere la profondità di un malessere che non si vuole più sopportare.

Le persone rifiutano d’essere considerate solo “carne da sondaggio”, “consumate” da distruttive logiche di mercato, frammentate dall’abbandono d’ogni logica sociale. In un paese afflitto da egoismi e corporativismi, nessuno tra quelli che si uniscono per protestare sta rivendicando un interesse particolare. E’ una novità importante. Gli studenti, i professori, il mondo della cultura si sono fatti sentire perché non sia fatto tacere il sapere critico, per rivendicare la conoscenza come bene comune.
Gli operai hanno ridato forza alla parola “dignità”, la stessa che guida le donne, che sono poi quelle che hanno individuato con più nettezza l’effetto devastante di un uso del corpo femminile che segna il punto estremo del degrado culturale e porta con sé una devastante idea del potere.

E’ questa la ragione che spinge tanti uomini ad associarsi alle loro iniziative, nelle quali ricompaiono, inattese e benvenute, le ragazze, che tuttavia non si chiudono solo in questa “rivendicazione”, ma sono presenti ovunque.
Si ricostruiscono così legami sociali, ceti e generazionidiverse tornano a parlarsi, parole che sembravano perdute, come “solidarietà”, “interesse generale”, “bene comune”, “moralità” si ripresentanocome ineludibili punti di riferimento.

Siamo al di là della categoria dei “ceti medi riflessivi” con la quale Paul Ginsborg aveva correttamente analizzato un’altra fase del risveglio della società civile. Quel che sta avvenendo in questo momento, infatti, è proprio l’emergere di una diversa società civile, composita, con una crescente capacità di auto- organizzazione, con una marcata autonomia.

Novità che hanno le loro radici soprattutto nell’uso della Rete, dov’è tutto un ribollire di iniziative, di discussioni magari sgangherate ma vitalissime. E, muovendo dalle piazze virtuali, i cittadini tornano ad affollare le piazze reali.

Vi sarà qualcuno, nello stanco ceto politico, capace di misurarsi con questo magma ribollente, realizzandoquell’alleanza che tanto ha contato nelsuccesso di Obama?
Oggi, infatti, si fa più urgente il problema dell’“interlocutore politico” di questa nuova società. Un interlocutore che dev’essere attento e umile, nel senso del rispetto dovuto a chi sta mettendo in gioco se stesso e, giustamente, rifiuta mediazioni troppo interessate. L’esempio è venuto dal Presidente della Repubblica quando, ricevendo gli studenti, ha colto la novità dei tempi, la richiesta, insieme, di un rapporto con le istituzioni e di un loro rinnovamento.

Non è un caso che i diversi movimenti siano unificati da un riferimento convinto alla Costituzione. Un’altra rilevante novità, infatti, è rappresentata proprio dal fatto che la Costituzione sta di nuovo incontrando il suo popolo. Se si vuole costruire una vera agenda politica, è da questo dato fondativo che bisogna partire, che illumina le diverse, puntuali indicazioni che vengono dai diversi soggetti del movimento in corso e che compongono un quadro programmatico selettivo e convincente.

Così, e non con improbabili alchimie, si costruisce un vero consenso politico. E si può contrastare un vizio impunito nella politica italiana, che si manifesta ciclicamente, e che consiste nel tentativo di cogliere qualsiasi occasione per cercare di liberarsiproprio del “programma costituzionale”.

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