sabato 22 gennaio 2011

L'eco del silenzio su Radio Libriamoci Web: Book bloc




L'eco del silenzio
su Radio Libriamoci Web

trasmissione del 13 dicembre 2010


da Repubblica.it (qui)
2 dicembre 2010

Da Boccaccio a Miller i libri della rivolta

di Maria Novella De Luca

Sono i simboli delle manifestazioni contro la riforma universitaria. Per questo il movimento è stato ribattezzato "Book Block". Le copertine-icone usate dagli studenti per farsi scudo nei cortei mostrano un catalogo delle letture ideali di questa generazione. Con scelte abbastanza sorprendenti 

Gli scudi adesso sono ben nascosti in un'aula di Scienze Politiche dell'università La Sapienza di Roma, ammaccati, scoloriti, scrostati ma ancora intatti. Gommapiuma, cartone e un'anima di legno: dopo le "guerre" degli ultimi giorni, dicono soddisfatti gli studenti "si sono piegati ma non spezzati, un po' come noi...". 

Loro sono i "Book Block", così il collettivo di scrittori Wu Ming ha ribattezzato gli studenti che in questi giorni avanzavano corteo dopo corteo issando "scudi letterari", simboliche paratie difensive con i nomi dei classici più famosi, impossibile non notarli, "avete visto - buttano lì ironici i ragazzi - come la polizia manganellava la nostra Costituzione?". Don Chisciotte e Satyricon, il Decamerone e L'Isola di Arturo, Cent'anni di solitudine e il Principe di Machiavelli, Gomorra ma anche Il Sole nudo di Asimov e Q di Wu Ming (quando firmavano ancora Luther Blissett), la biblioteca della guerriglia letteraria è una babele di titoli e di echi di cui sembra impossibile tracciare un filo rosso. Come sono stati scelti? E perché proprio questi? E da dove spuntano i Mille piani di Gilles Deleuze, insieme a Cecità di Saramago?

L'ideatore, l'inventore degli scudi letterari dice che non c'è nulla di precostituito né, soprattutto, alcuna selezione letteraria, "ma tutto nasce in un pomeriggio di novembre all'università, per fare il catalogo ci siamo riuniti e ognuno tirava fuori i titoli che preferiva". Davvero? In realtà Pietro, 22 anni, studente lavoratore, universitario la mattina e cameriere la sera, creatore di queste singolarissime armi, che usa un nome in codice "per evitare guai, sono pur sempre scudi", dice che lui e gli altri sono già al lavoro per fabbricarne altri in vista delle prossime manifestazioni. "La protesta invecchia, bisogna rinnovarsi".

"I titoli? Nessun problema, il nostro elenco di simboli è lunghissimo, abbiamo lasciato fuori Nanni Balestrini e il De Rerum Natura, i Fratelli Karamazov e anche Harry Potter, ognuno mette dentro quello che ha, i libri che ha scoperto a scuola e quelli che studia all'università, noi volevamo dimostrare che la cultura è la nostra unica difesa contro un Governo che la riduce in macerie. Se questi sono i libri che leggo? In gran parte sì, ho scoperto la letteratura grazie alla mia prof del liceo e da allora divoro veramente di tutto, in modo trasversale e totale".

Ma come interpretare allora questa biblioteca così particolare, dove c'è anche la Costituzione italiana, le cui immagini stanno facendo il giro del mondo, contrapposte ai caschi e ai manganelli della polizia, ma dove l'unico libro "contemporaneo" è Gomorra di Saviano, fatta eccezione per Q, libro cult dei Wu Ming quando ancora si chiamavano Luther Blissett, e pubblicato nel 1999? Per Luca Serianni, ordinario di Storia della Lingua Italiana all'università La Sapienza, gli scudi letterari hanno due facce, "una positiva e l'altra negativa". "L'elemento positivo - dice Serianni - è che a giudicare da questi titoli i classici sono libri che restano stabilmente nell'immaginario, che si siano letti o no, sembrano essere una sorta di bene rifugio a cui attingere sempre, quando si vuole dire o sostenere qualcosa. E questo è confortante. Il lato negativo è che molte di queste citazioni mi sembrano echi scolastici, letture consigliate, e dunque difficilmente amate.

Però il messaggio pubblicitario funziona, è efficace. Di certo non sono letture generazionali, sembrano uscite più dall'immaginario anni Sessanta e Settanta dei loro genitori che non dall'esperienza diretta dei ragazzi. Ma questo è relativo: gli studenti sanno che Don Chisciotte esiste, ne conoscono la simbologia, e la utilizzano. Appunto: vedere un agente picchiare Don Chisciotte fa una certa impressione... In ogni caso - aggiunge Serianni - credo che questo gioco letterario sia figlio di una minoranza che legge, una minoranza che resta tale nel tempo".

Se questi sono però libri simbolo, più letture-manifesto che passioni intime, quali libri leggono davvero i ventenni di questa Onda2, i Book Block, anzi gli "Indisponibili", insomma il movimento che occupa i monumenti e i binari e fa lezione sui tetti? Luca Cafagna, studente di Scienze Politiche, che ha partecipato all'ideazione degli scudi letterari, dice che la risposta è proprio in quegli "elenchi", parafrasi voluta di Vieni via con me. "Non capisco perché vi meravigliate di vedere sui nostri scudi Gilles Deleuze, che è un autore che si studia abitualmente a Filosofia, o Moby Dick, che è la storia di un'ossessione e che molti di noi hanno realmente amato, o Asimov, di cui io non conosco il Sole nudo ma sono innamorato della Saga della fondazione. Per il resto quello che posso dire è che tra i miei autori preferiti ci sono Lucarelli e Carlotto, Evangelisti...". Rilancia Margherita, che studia Storia dell'Arte: "La verità è che uno dei libri più citati è stato Harry Potter, e infatti volevamo fare uno scudo con L'ordine della Fenice, ma forse lo porteremo ai prossimi cortei, per quanto mi riguarda ho letto Paolo Giordano, Isabel Allende, di recente la storia, bellissima, di un ragazzo che fugge dal Pakistan a nove anni e oggi vive in Italia, una storia raccontata nel romanzo Nel mare ci sono i coccodrilli di Fabio Geda. Però - confessa Margherita - ogni tanto mi concedo anche qualcosa di Sophie Kinsella...".

Carlotta Bendandi insegna al liceo classico Galvani di Bologna. "Su quegli scudi - spiega - non ci sono libri generazionali, ma libri cult, ognuno ha scelto un titolo che poteva sembrargli simbolico o importante. E comunque dal mio osservatorio posso dire che sono molti gli studenti che nel triennio del classico si innamorano del Satyricon o del Decamerone, più difficile che conoscano davvero l'Isola di Arturo, che forse è stato il suggerimento di qualche mamma passata di là o Simone De Beauvoir, magari consigliata da qualche professoressa che partecipava all'assemblea... Però devo dire che queste "armi della letteratura" mi hanno confortata: vuol dire che un po' di amore per la lettura noi insegnanti a questi ragazzi riusciamo ancora a trasmetterlo".

E quasi entusiasta è il commento di Gian Mario Anselmi, docente di Letteratura italiana all'università di Bologna. "Questi ragazzi si sono fatti scudo della cultura che è la nostra vera e unica identità. Noi ci difendiamo con i classici mentre voi, Governo, fate crollare Pompei. I titoli che citano sono diversissimi, arrivano da chissà quali suggestioni e consigli, ma non importa, è il simbolo che conta. E su quegli scudi si parlava di utopia, di storia, di coraggio, d'amore".

 
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da Repubblica.it (qui)
10 dicembre 2010

Nella scuola pubblica si impara di più
L'Italia in basso per colpa delle private


di Salvo Intravaia

La lettura approfondita dei dati resi noti qualche giorno fa dimostra che senza le paritarie il nostro Paese scalerebbe le tre classifiche (Lettura, Matematica e Scienze) anche di dieci posizioni 

La scuola pubblica italiana sta meglio di quello che sembra, basta leggere correttamente i dati. Sono le private la vera zavorra del sistema. Almeno stando agli ultimi dati dell'indagine Ocse-Pisa sulle competenze in Lettura, Matematica e Scienze dei quindicenni di mezzo mondo. Insomma: a fare precipitare gli studenti italiani in fondo alle classifiche internazionali sono proprio gli istituti non statali. Senza il loro "contributo", la scuola italiana scalerebbe le tre classifiche Ocse anche di dieci posizioni. La notizia arriva nel bel mezzo del dibattito sui tagli all'istruzione pubblica e sui finanziamenti alle paritarie, mantenuti anche dall'ultima legge di stabilità, che hanno fatto esplodere la protesta studentesca.

"Nonostante i 44 miliardi spesi ogni anno per la scuola statale i risultati sono scadenti. Meglio quindi tagliare ed eliminare gli sprechi", è stato il leitmotiv del governo sull'istruzione negli ultimi due anni. E giù con 133 mila posti e otto miliardi di tagli in tre anni. Mentre alle paritarie i finanziamenti statali sono rimasti intonsi. Ed è proprio questo il punto: le scuole private italiane che ricevono copiosi finanziamenti da parte dello Stato fanno registrare performance addirittura da terzo mondo. I dati Ocse non lasciano spazio a dubbi. Numeri che calano come una mazzata sulle richieste avanzate negli ultimi mesi dalle associazioni di scuole non statali e da una certa parte politica. Questi ultimi rivendicano la possibilità di una scelta realmente paritaria tra pubblico e privato nel Belpaese. In altri termini: più soldi alle paritarie.

Un mese fa, nel corso della presentazione del XII rapporto sulla scuola cattolica, la Conferenza episcopale italiana ha detto a chiare lettere che in Italia manca una "cultura della parità intesa come possibilità di offrire alla famiglia un'effettiva scelta tra scuole di diversa impostazione ideale". Il segretario generale della Cei, monsignor Mariano Crociata, ha anche sottolineato come, da un punto di vista economico, "la presenza delle scuole paritarie faccia risparmiare allo Stato italiano ogni anno cinque miliardi e mezzo di euro, a fronte di un contributo dell'amministrazione pubblica di poco più di 500 milioni di euro" e ricorda che "in Europa la libertà effettiva di educazione costituisce sostanzialmente la regola". Sì, ma con quali risultati?

Il quadro delineato dall'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico attraverso l'indagine Pisa (Programme for International Student Assessment) è impietoso. Il punteggio medio conseguito dai quindicenni italiani delle scuole pubbliche in Lettura e comprensione dei testi scritti è pari alla media Ocse: 489 punti, che piazzano la scuola pubblica italiana al 23° posto. Con le scuole private scivoliamo al 30° posto. Discorso analogo per Matematica e Scienze, dove il gap con la media dei paesi Ocse è di appena 5 punti: 492 per le statali italiane, che ci farebbero risalire fino al 25° posto, e 497 per i paesi Ocse. Mescolando i dati con quelli degli studenti che siedono tra i banchi delle private siamo costretti ad accontentarci in Scienze di un assai meno lusinghiero 35° posto.

Ma c'è di più: la scuola pubblica italiana, rispetto al ranking 2006, recupera 20 punti in Lettura, 16 in Scienze e addirittura 24 in Matematica. Le private, nonostante i finanziamenti, invece crollano. L'Ocse, tra gli istituti privati, distingue quelli che "ricevono meno del 50 per cento del loro finanziamento di base (quelli che supportano i servizi d'istruzione di base dell'istituto) dalle agenzie governative" e quelli che ricevono più del 50 per cento. E sono proprio i quindicenni di questi ultimi istituti che fanno registrare performance imbarazzanti: 403 punti in Lettura, contro una media Ocse di 493 punti, che li colloca tra i coetanei montenegrini e quelli tunisini.

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CONSIGLI DI LETTURA:
Dossier Abruzzo di Libera
CREPE

6 aprile 2009
ore 3.32

La fine
dell’isola felice



http://www.6aprile.it/wp-content/uploads/2010/12/DOSSIER_LIBERA_web.pdf

L'eco del silenzio su Radio Libriamoci Web: Giornata mondiale sulla disabilità e alcuni episodi di razzismo


L'eco del silenzio 
su Radio Libriamoci Web


trasmissione del 7 dicembre 2010




da FrancaMente blog senza barriere di Vita.it (qui)
30 novembre 2010

Sognando il 3 Dicembre


di Franco Bomprezzi

“I have a dream!”. Già, si fa presto a dire. Generazioni, ci vogliono. Anni e anni. Poi arriva Obama, e resti pure deluso. Perciò i sogni servono per sognare. Sognare aiuta a vivere. Vivere è fondamentalmente l’unica cosa che sappiamo fare tutti. Anche morire, in teoria. Ma non è del tutto vero. Perché non tutti sappiamo morire. Sicuramente non sappiamo nascere, c’è una mamma che ci fa nascere. Fosse per noi rimarremmo lì dentro, al caldo, protetti, con il dito in bocca.
Eppure io ho un sogno. E’ il 3 dicembre del 2032. Ho compiuto da poco 80 anni. Sono ancora vivo, più o meno. Le ossa erano meno fragili del previsto. Il respiro non mi ha ancora tradito. La testa non vaneggia del tutto, anche se tendo a ripetere sempre le stesse cose. Mi muovo con una carrozzina a energia solare. Giro per le strade di Milano, esco di casa senza problemi, fa un po’ freddo, ma sono ben coperto. Non guido più da qualche anno, perché penso che a una certa età è meglio prendere i mezzi pubblici piuttosto che essere io un pericolo pubblico. Arrivo facilmente alla fermata della metropolitana. Un ampio ascensore a vetri si apre e mi accoglie con un cicalino. Dentro è tutto pulito. Scendo a livello dei binari. Mi oriento facilmente, seguendo i segnali ben visibili e a caratteri grandi. Raggiungo la linea Azzurra. Il treno si ferma proprio davanti a me, le porte si aprono, esce una hostess molto carina che mi chiede se ho bisogno di aiuto. Io le dico che posso fare da solo, ma che ovviamente sono felice se mi fa strada. Mi chiede dove voglio andare. “Non lo so”, rispondo. “O meglio, non ricordo. Si avvicina Natale, ma non è questo il punto. Oggi è il 3 dicembre, e voglio andare in Comune, ad ascoltare il sindaco della mia  città che parla a tutti i cittadini di come Milano sia diventata la città per tutti, ma proprio tutti”. Lei mi sorride e mi dice: “Certo, Cavalier Bomprezzi, la stavamo aspettando”. E mi fa strada fino al posto ampio e largo che è destinato alle carrozzine solari, una piastra sul pavimento consente di ricaricare le batterie durante il tragitto. La hostess resta accanto a me per tutto il tempo. Arriviamo in piazza del Duomo.
Scendo dalla metro, risalgo in superficie con un altro ascensore velocissimo, nel quale entrano tutti, non solo le persone con disabilità, ovviamente. Molti mi salutano, si ricordano delle nostre battaglie di tanti anni fa. Ci sono in Galleria tanti altri reduci, vecchi disabili ossuti, alcuni con le stampelle, altri con il bastone bianco a raggio laser. Poi vedo una coppia di anziani con sindrome di Down, accompagnati dai loro figli, bellissimi. I giornalisti e i fotografi sono tutti lì, davanti a palazzo Marino. Mi aspettano, perché il 3 dicembre devo parlare in Comune. Il sindaco, un milanese di origini cinesi, ormai di terza generazione, ha organizzato un Memorial della giornata internazionale delle persone con disabilità, giusto per non dimenticare. Infatti ormai da dieci anni non ce n’è bisogno, di questa giornata celebrativa. Superata la Grande Crisi, infatti, Milano e l’Italia hanno deciso di investire sul welfare, sulla qualità della vita di tutti, per tutti. Non solo per i disabili, ovviamente. L’hanno chiamata la generazione “del pensiero globale”. Non del mercato globale. Del pensiero. Pensare per tutti, in modo che tutti si sentano cittadini del mondo e nel mondo.
E’ stato un periodo incredibile, investimenti, progetti, giovani e anziani insieme a costruire un futuro a misura di tutti. Bastava leggere la Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità e applicarla, punto per punto. Il sindaco si è ricordato che tanti anni prima mi avevano dato l’Ambrogino d’Oro perché mi ero impegnato nella comunicazione a favore delle persone con disabilità. Io me l’ero scordato, si sa che l’età gioca dei brutti scherzi. Ora entro in sala del consiglio, da solo, manovrando sul joystick, e arrivo al tavolo degli ospiti. Parlo: “Grazie a tutti. Grazie davvero. Sono commosso per questo momento di ricordo e di celebrazione. Il merito è di tutti, della comunità nazionale, regionale e locale. Ormai da tempo, infatti, le persone con disabilità grave possono avere assistenza domiciliare e ausili, in abitazioni confortevoli. I bambini con disabilità entrano a scuola accolti da una festa. Quando diventano grandi e si diplomano, o si laureano, superano agevolmente i test attitudinali e vengono assunti, in men che non si dica, da aziende socialmente responsabili, che in realtà sono felici di avere lavoratori solerti e puntuali. I genitori finalmente hanno ritrovato tempo libero ed energia, perché i loro figli vengono presi in carico dall’intera comunità. Il volontariato funziona bene, finanziato dal 10 per cento delle dichiarazioni dei redditi (il 5 per mille era davvero troppo poco, come ammise Tremonti, tanto tempo fa, proponendo questa clamorosa riforma: “dal 5 per mille al 10 per cento”). In realtà, cari amici milanesi, ormai da anni non parliamo più di disabilità, perché non ce n’è bisogno. Ognuno è come è, con le sue caratteristiche personali, pregi e difetti, alti, bassi, magri, grassi, intelligenti, meno sagaci, miopi, presbiti, ciechi, sordi, autistici, biondi, uomini, donne, senza alcuna distinzione. Bastava leggere l’articolo 3 della Costituzione, del resto. Bastava leggerlo e applicarlo. Finalmente è successo. Alle persone con disabilità anziane, del resto, in considerazione del lungo impegno che hanno dovuto dimostrare per sopravvivere in questi difficili decenni, viene garantito un vitalizio e l’assistenza a domicilio, 24 ore al giorno.  Io ho più di ottant’anni, e sono orgoglioso di vivere qui, di essere qui. Il mio sogno si è realizzato. La mia vita è coronata dall’avverarsi del mio sogno. Perciò, cari amici milanesi, ora finalmente posso riposare. Anzi, ora vado a dormire, torno a crogiolarmi nel mio sogno”.
Clic. Accendo la luce. Guardo l’ora. E’ quasi mezzanotte. Mi devo essere assopito. Mancano pochi giorni al 3 dicembre 2010. Il computer è ancora acceso. Leggo i documenti delle associazioni: “Azzerato il fondo nazionale per le non autosufficienze… Tagliato il fondo per le politiche sociali… tagliato il 5 per mille…”. Non mi sento tanto bene. Quasi quasi mi addormento di nuovo. Che bello il mio sogno. Lasciatemi dormire. Sono stanco.

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Dal sogno al reale, ma forse passando dall'incubo, in un click.


da Repubblica.it Roma (qui)4 dicembre 2010

"La Costituzione non si applica ai disabili" bufera sulle dispense del Comune di Roma

di Laura Mari e Giovanna Vitale

Lo strafalcione nei testi del Formez Italia destinati alla formazione dei funzionari pubblici. Alemanno costretto a cancellarli dal sito. A denunciare l'episodio i deputati pd Argentin, Verini e Coscia"

Sul sito del Comune di Roma sono state pubblicate frasi contro i disabili". A denunciare l'episodio di razzismo sono i deputati del Pd Ileana Argentin, Walter Verini e Maria Coscia, che hanno presentato un'interrogazione al governo. Secondo i tre parlamentari, sulle dispense messe online sul sito Formez Italia e destinate alla formazione dei funzionari pubblici del Comune di Roma sarebbero presenti "frase discriminatorie nei confronti dei portatori di handicap".

A finire sotto accusa sono, in particolare, le dispense di diritto costituzionale presenti sul sito nella sezione "Roma Capitale - Corso per funzionario amministrativo". "Chiunque può leggere le dispense di diritto costituzionale piene di strafalcioni giuridici - dicono Argentin, Verini e Coscia - e, cosa ancora più grave, di affermazioni discriminatorie come la seguente: "L'articolo 3 della Costituzione nella prima parte enuncia il principio di uguaglianza, formale in quanto esseri umani (assenza di norme discriminatorie). Non bisogna però considerare uguali a noi persone in condizioni inferiori alle nostre (handicappati)"". Parole che i deputati del Pd considerano "di estrema gravità. È una indecenza senza pari - dicono - che queste cose siano scritte sul sito del Comune di Roma".

In serata, il Campidoglio è corso ai ripari. "Il dipartimento Risorse umane - si legge in una nota ufficiale - ha chiesto a Formez Italia di rettificare il passaggio assai sconcertante contenuto in una delle dispense e di riformularlo in termini aderenti a quelli che sono i principi ispiratori della nostra carta costituzionale. Il contenuto - conclude la nota - sarà immediatamente rimosso dalle pagine del portale".

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Ancora un altro passo verso la nostra distopia nazionale, stiamo procedendo e... Di corsa!


da il mattino di Padova (qui)
5 dicembre 2010

Lega: basta contributi alla Maratona di Padova, perché vincono sempre i neri
La scure della Provincia rischia di abbattersi sulla Maratona del Santo. Il leghista Pietro Giovannoni ha indicato la linea durante la seduta del Consiglio provinciale: basta contributi, perché vincono "atleti africani o comunque extracomunitari in mutande". Salvo poi cercare di correggere il tiro una volta scoppiato il caso: "Gli ingaggi sono troppo alti"

PADOVA. La dodicesima edizione, organizzata come sempre da Assindustria Sport Padova, si svolgerà il 17 aprile 2011. E, com'è accaduto in passato, saranno gli atleti stranieri i grandi favoriti della Maratona di Sant'Antonio, che ogni anno spinge migliaia di atleti a correre lungo il percorso del Santo fino in Prato della Valle a Padova. Non a caso il 25 aprile 2010, sul gradino più alto del podio, è salito, tra gli uomini, Gilbert Chepkwoni. Mentre tra le donne si è imposta Rael Kiyara. Entrambi keniani.

Un predominio del "continente nero" che non va giù alla Lega Nord. Meglio allora, come ha sostenuto ieri sera, in Consiglio provinciale, l'esponente del Carroccio Pietro Giovannoni - intervenuto nel dibattito sul tracciato della gara - che gli enti locali non continuino a finanziare una manifestazione alla quale in maggioranza partecipano "atleti africani o comunque extracomunitari in mutande".

Giovannoni, 66 anni, di Vigonza, titolare con la figlia di un'azienda dolciaria a Caselle di Altivole, non è nuovo a provocazioni e battute di dubbio gusto. Qualche mese fa, durante la discussione in Consiglio provinciale della mozione contro l'omofobia, parlò di "culattoni e lesbiche". Giustificandosi poi per l'uso del termine ingiurioso con il fatto che "in Veneto si dice così".

Anche questa volta, appena scoppiato il caso il consigliere provinciale della Lega Nord ha cercato di aggiustare il tiro, sottolineando la necessità di non spendere soldi per ingaggi troppo alti (ascolta l'audio). Non distinguendo, peraltro, tra una gara vera e propria e una manifestazione non competitiva.

L'eco del silenzio su Radio Libriamoci Web: 25 Novembre - Giornata internazionale eliminazione violenza contro donne



L'eco del silenzio 
su Radio Libriamoci Web


trasmissione del 29 novembre 2010

25 Novembre: giornata internazionale
per l'eliminazione della violenza
contro le donne



Audre Lorde (wiki) è stata una poetessa statunitense del '900 e voglio introdurvela utilizzando le sue stesse parole:


"La qualità della luce attraverso cui scrutiamo le nostre vite è in rapporto diretto con il prodotto che viviamo e con i cambiamenti che speriamo di apportarvi attraverso queste vite. All'interno di questa luce formiamo le idee mediante le quali perseguiamo il nostro magico e lo rendiamo reale. 
E' la poesia come illuminazione, perché proprio tramite la poesia diamo un nome alle idee che - prima della poesia - sono senza nome e senza forma, non ancora nate, ma già sentite. 
Questa distillazione dell'esperienza,
da cui scaturisce la vera poesia, 
genera il pensiero come il sogno genera il concetto, 
come il sentimento genera l'idea,
come la conoscenza genera (precede) la comprensione.
Se impariamo a sostenere l'intimità di questo scrutare e a prosperarvi dentro,
se impariamo ad usare i prodotti di questo scrutare finalizzandoli al potere entro la nostra vita,
le paure che governano le nostre esistenze e che formano i nostri silenzi cominciano a perdere il loro controllo su di noi." (qui)



Litania per la sopravvivenza


Per quelle di noi che vivono sul margine
Ritte sull'orlo costante della decisione
Cruciali e sole
Per quelle di noi che non possono lasciarsi andare
Al sogno passeggero della scelta
Che amano sulle soglie mentre vanno e vengono
Nelle ore fra un'alba e l'altra
Guardando dentro e fuori
E prima e poi allo stesso tempo
Cercando un adesso che dia vita
A futuri
Come pane nelle bocche dei nostri figli
Perché i loro sogni non riflettano
La fine dei nostri

Per quelle di noi
Che sono state marchiate dalla paura
Come una ruga leggera al centro delle nostre fronti
Imparando ad aver paura con il latte di nostra madre

Perché con questa arma
Questa illusione di poter essere al sicuro
Quelli dai piedi pesanti speravano di zittirci
Per tutte noi
Questo istante e questo trionfo
Non era previsto che noi sopravvivessimo

E quando il sole sorge abbiamo paura
Che forse non resterà
Quando il sole tramonta abbiamo paura
Che forse non si alzerà domattina
Quando abbiamo la pancia piena abbiamo paura
Dell'indigestione
Quando abbiamo la pancia vuota abbiamo paura
Di non poter mai più mangiare
Quando siamo amate abbiamo paura
Che l'amore svanirà
Quando siamo sole abbiamo paura
Che l'amore non tornerà
E quando parliamo abbiamo paura
Che le nostre parole non verranno udite
O ben accolte
Ma quando stiamo zitte
Anche allora abbiamo paura

Perciò è meglio parlare
Ricordando
Che non era previsto 
che noi sopravvivessimo


da Audre Lorde, "The Black Unicorn", 1979
traduzione di: Margherita Giacobino

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da www.carmillaonline.com (qui)
16 dicembre 2010

Quando tutte le donne del mondo...

di 
Chiara Cretella



Il 25 novembre è la giornata mondiale contro la violenza sulle donne. La giornata nasce in ricordo delle sorelle domenicane Mirabal, uccise il 25 novembre del 1960 perché impegnate nella lotta di liberazione nella Repubblica Dominicana. La commemorazione di questa data ebbe origine al primo incontro internazionale femminista in America Latina, celebrato in Colombia nel 1980. La Repubblica Dominicana propose questa data in onore di Patria Minerva e Maria Teresa Mirabal, nel ’98 l’assemblea generale delle Nazioni Unite approvò all’unanimità il 25 novembre come “Giornata internazionale contro la violenza sulle donne”.
La Casa delle donne di Bologna organizza la quinta edizione del Festival La violenza illustrata (www.casadonne.it) che dal 5 al 30 di questo mese dedicherà appuntamenti tematici inerenti a questo fenomeno. Finalmente si è radicata l’idea che festeggiare questa data è un appuntamento imprescindibile, e siamo molto felici che a sostenere questo progetto non siano solo le realtà che si occupano di donne, ma anche tante associazioni operanti sul territorio nei campi più disparati.
Abbiamo cercato di coordinare le direttrici teoriche del Festival lungo l’asse di alcune tematiche, una di quelle di quest’anno è Altri femminismi, un filone che indaga la situazione della violenza di genere in paesi come il Pakistan, l’Albania, l’India, l’Iran.
Ma la violenza è affare di casa nostra come di tutte le altre nazioni, la violenza contro le donne è un fatto culturale, un portato del patriarcato, e i dati dimostrano che nulla ha a che vedere con culture tradizionali, fondamentalismi e differenze di classi sociali. La violenza contro le donne è universale, trasversale, multiforme e cambia continuamente modalità, adeguandosi alle nuove tecnologie e alle nuove forme di relazioni della nostra contemporaneità. È così strettamente collegata, complice con la svalorizzazione del femminile, che ci attraversa gli occhi tutti i giorni e non ce ne accorgiamo.
A livello mondiale la violenza contro le donne commessa dal partner, marito, fidanzato o padre è la prima causa di morte e invalidità permanente per le donne fra i 16 e 44 anni, ancora prima del cancro, degli incidenti stradali e della guerra.
La Casa delle donne per non subire violenza a partire dal 2006 raccoglie e analizza tutti i casi di donne uccise riportati dalla stampa e riconducibili alla violenza di genere.
La ricerca svolta per il 2009 dimostra che le donne uccise sono in larghissima maggioranza italiane (il 70%, 83 in numero assoluto su 119), come sono italiani gli autori di queste uccisioni (76%, 86 in cifra assoluta). Questi dati, assolutamente in difetto, perché non danno conto delle donne scomparse, delle clandestine, di tutti i casi non ancora risolti, dimostrano comunque infondata la teoria secondo cui ad agire violenza contro le donne sarebbero i migranti o persone sconosciute.
La ricerca rileva che la donna viene uccisa per mano degli uomini a lei più cari: il marito nel 36% dei casi, l’amante convivente o partner nel 18%, e nel 9% dei casi da ex (mariti, conviventi o amanti), mentre nel 13% dei casi ad ucciderla è un altro parente (padre, fratello, figlio).
Inoltre, tra le cause si ritrova maggiormente la volontà dell’autodeterminazione legata alla sfera sentimentale: quando la donna cerca di interrompere una relazione, si espone al forte rischio di essere uccisa. Il possesso sembra essere il dato preponderante che emerge da queste relazioni di potere.
Le donne non denunciano, specie quando parliamo di violenza domestica. Esistono diversi fattori, economici, culturali, legislativi che inducono le donne al silenzio. In primis la dipendenza economica dal partner o da chi esercita violenza, dalla casa in cui risiede al reddito: negli ultimi anni, per la crisi economica molte donne sono state licenziate, i contratti a termine non rinnovati. Quelle che si sono azzardate a fare un figlio sono state le prime a pagare la flessibilità crescente. Si pensi solo a tutti i contratti precari che non contemplano il pagamento della maternità. E poi vi è un profondissimo problema culturale, che fa della donna un oggetto di controllo e dominio.
La separazione, vissuta come un’umiliazione e un affronto alla propria virilità, ma anche la perdita del lavoro della donna, per esempio dopo la nascita del figlio, possono far esplodere l’aggressività prima repressa. Le scarse tutele sul posto di lavoro, la morale della famiglia, il relegare ancora oggi la donna al lavoro di cura non retribuito e non condiviso con il partner (ma soprattutto non coadiuvato dai servizi sociali, cui il lavoro femminile di fatto supplisce completamente), i media che riducono la donna a corpo sessuato atto a vendere merci di qualunque genere, cui non è permesso invecchiare, parlare, pensare, in una parola, “esistere come soggetto”: tutto ciò contribuisce ad umiliare le donne, che di conseguenza, non denunciano, perché “non credono di avere dei diritti”.
La violenza di genere è un fenomeno invisibile per molti motivi, primo perché è pochissimo denunciata, e dunque anche i dati a nostra disposizione sono parziali e molto sottostimati. Secondo, perché se ne parla poco, i media concedono poco spazio a queste tematiche, e quando se ne parla, se ne parla male, il ché dal punto di vista di chi lavora nella prevenzione del fenomeno, è un ulteriore aggravamento della situazione. I media acutizzano questa piaga riportando le notizie in modo perturbante, misogino, spettacolarizzato, necrofilo, parziale o totalmente voyeuristico. Qui non siamo nel diritto di cronaca ma in una cosciente operazione di violenza verbale, visiva, emozionale, sociale. Si scivola nel reato di “violenza assistita”: dovete pensare ai bambini che guardano il plastico della casa di una ragazzina uccisa in prima serata, una “casa di bambola” dove il reale ha lasciato il posto al surreale.
Sappiamo che la visione della violenza genera emulazione, questa responsabilità dovrebbe essere parte di una riflessione culturale sulla discriminazione di genere in senso lato. Ogni volta che in televisione o sui giornali si parla di “Amore criminale” si ratifica uno stereotipo largamente diffuso anche in strati di ascolto “sensibili” all’argomento: qui non ci troviamo di fronte al romanticismo dell’unione di eros e thanatos, ma a ciò che le studiose chiamano ormai a livello internazionale FEMICIDIO (dall’inglese Femicide) cioè “l’uccisione di una donna in quanto donna”.
Il concetto di FEMMINICIDIO indica invece il complesso di pratiche discriminatorie nei confronti delle donne, dal mobbing allo stupro, dal maltrattamento allo stalking… Ovviamente ognuna di queste discriminazioni è una violenza, in particolare anche l’imposizione di stereotipi costrittivi rivolti alle adolescenti, che incrementano un uso allarmante di ricorso alla chirurgia estetica, con conseguenti problematiche non solo medico-sanitarie ma anche psicologico-sociali.
Quello che è in gioco è la costruzione dell’identità, lavorare per una educazione di genere significa regalare la speranza di un futuro a una generazione di bambine che ci chiede di stare, oggi più che mai, “dalla loro parte”.
A chi è cresciuta senza nessun diritto oltre al dovere sociale di “apparire bella” si devono consegnare le chiavi per la decostruzione di un immaginario capovolto, un percorso difficilissimo, ma non impossibile, che altre prima di loro hanno fatto, partendo da ben peggiori costrizioni: perché “donne non si nasce, si diventa”.
In fondo, oggi che siamo al “ground zero della rivoluzione femminista”, dove tutti i diritti acquisiti sono rimessi in discussione, “grande è la confusione sotto il cielo, la situazione è dunque eccellente”: le giovani donne non hanno nulla da perdere, proprio come Franca Viola (la prima donna a opporsi alla legge del matrimonio riparatore) cinquant’anni fa.
Le ultime notizie della cronaca politica/mediatica non sono confortanti, ma credo anche che non ci sia un’esplosione di questi fenomeni, questo sottobosco c’è sempre stato: è figlio della mentalità di una gerontocrazia maschile, patriarcale e clericale che governa da secoli il nostro paese (e non solo). In particolare, si pensi all’uso che del gallismo fece il fascismo, l’atteggiamento misogino degli attuali politici al governo riporta in auge questo mito creato ad uso e consumo di un imperialismo fallologocentrico, destinato a dimostrare tutta la sua “impotenza” sul reale. È un apparato spettacolarizzato propinato ad una massa onnivora, costretta a digerire qualunque nefandezza (dalla necrofilia alla pedofilia), se opportunamente reclamizzata.
Gustave Le Bon in Psicologia delle folle sosteneva che la massa è femmina e che come tale il leader deve soggiogarla, possederla: non a caso uno dei libri preferiti di Mussolini, che ne aveva applicato i dettami nella sua immagine pubblica e privata, nella doppia morale con cui faceva convivere famiglia e amante. A lui faceva eco D'Annunzio che riteneva che le parole fossero femmine, mentre le azioni fossero maschi: d’altronde Freud, analizzando il saggio di Le Bon in Psicologia delle masse e analisi dell’Io, ci dice che «il poeta creò il primo ideale dell’Io», un mito fondativo paterno in cui la massa si identifica tramite la figura dell’eroe.
Quanto consciamente oggi Berlusconi utilizzi gli strumenti dei suoi predecessori, non ci è dato saperlo: certo è che, complice la tecnologia mediatica, il suo fascino ipnotico è divenuto “inarrestabile”. Il corpo dato in pasto a questa mitizzazione è un corpo sessuato, un corpo femminile, che, alienato dalla sua soggettività, viene recluso in uno spazio totalmente immaginario: la violenza, dunque, quella sì reale, viene come attutita in questa dimensione irreale, ma proprio per questo amplificata, aggiungendo indifferenza e naturalezza ad atti ormai declinati da una sola perturbante volontà di sapere.
Cosa importa al lettore la giostra sessuale di uno stupro di massa? I dettagli anatomici di una autopsia sul cadavere di una ragazzina? Cosa aggiungono le descrizioni dei rilievi dei liquidi organici o i volti disumanizzati dei congiunti incalzati dal reality della crudeltà?
Nella fragilissima e tragica fase di una elaborazione del lutto queste persone si trovano in uno stato di persecuzione giornalistica tale da configurare contro i media un reato di stalking.
Siamo passati dalla comunicazione della violenza alla violenza della comunicazione.
Ma poiché la violenza di genere è un fatto culturale si può combattere solo con la cultura ad una educazione di genere.


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Spero che dopo la lettura del testo di carmillaonline vi sia più chiara la mia scelta di aprire con Audre Lorde. Voglio anch'io parlare ricordando che non era previsto che sopravvivessi; si sopravvive quando c'è la volontà della donna e l'incontro con degli uomini che non sono animali, ma semplicemente persone.


da Lucia Capparrucci un saluto e l'augurio di frenetiche letture!

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Per approfondire:

Spunti di riflessione per affrontare a livello globale il problema della violenza sulle donne con una prospettiva di genere 

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