lunedì 30 agosto 2010

L'eco del silenzio su Radio Libriamoci Web: Sudan, aspettando il referendum


L'eco del silenzio 

su Radio Libriamoci Web


trasmissione del 7 dicembre 2010


Sudan, aspettando il referendum (qui)

da PeaceReporter
19/08/2010
Paralisi politica, strani spostamenti di popolazione e ritardi nei preparativi: così il gigante africano si avvicina al suo D-Day


Il conto alla rovescia è già cominciato. Tra meno di cinque mesi il Sudan saprà se sarà riuscito a voltare pagina o se invece rischierà di riprecipitare negli abissi di una guerra civile che ha lacerato il Paese per oltre quarant'anni. Se lo chiedono i sudanesi, soprattutto quelli del Sud, visto che il referendum del 9 gennaio verterà proprio sull'indipendenza della parte meridionale di quello che è il più grande stato africano, attualmente beneficiaria di una larga autonomia ottenuta con gli accordi di Nairobi, che sempre il 9 gennaio, ma del 2005, misero fine alla violenza. Proprio allora si decise di sottoporre a referendum l'opzione indipendentista.
Questioni insolute. Nel frattempo si sarebbero dovute risolvere una serie di questioni, alcune delle quali molto importanti, come la definizione delle frontiere interne e della proprietà sui vasti giacimenti di idrocarburi, vale a dire petrolio, di cui è ricco il sud e al quale il potere centrale non vuole rinunciare.
E questo spiega la tensione strisciante di questi giorni. C'è nervosismo a Juba, la capitale della Sudan meridionale, dove in pochi credono che gli attori principali possano trovare un compromesso. Non c'è fiducia nel Partito nazionale del Congresso, quello del presidente Omar Al Bashir, nè si conta sulla duttilità degli indipendentisti, il Movimento di liberazione del popolo del Sudan che da parte sua non riesce a trovare una sintesi tra le sue varie anime. I leader che compongono l'ufficio politico del partito si sono chiusi l'11 agosto in una riunione blindata da cui non è filtrata nessuna indiscrezione, se non la certezza che un accordo non è stato raggiunto. Rischia la paralisi anche la Commissione per il referendum, bloccata dal braccio di ferro tra cinque rappresentanti del Sudan del Sud che chiedono per la loro area la presidenza dell'organo, attualmente ricoperta da Mohammed Khalil Ibrahim, uomo del nord. Tutto è in alto mare, ma si pensa già ai simboli del nuovo stato come la bandiera, l'inno per il quale è stato indetto un concorso e soprattutto al nome, segno che l'esito, almeno al sud, è dato per scontato.

Petrolio e tribù. Voci allarmate raccontano di un contesto segnato da una grande confusione, con i preparativi che non procedono affatto, nonostante l'ora X si avvicini. E allora cresce il timore che in questo vuoto possa trovare spazio la violenza. Contestualmente si terrà un referendum anche ad Abyei, regione collocata sulla frontiera nord-sud, grande più o meno quanto il Libano. Qui si dovrà decidere se far parte della metà settentrionale o di quella meridionale. E il conflitto geografico, che ne nasconde uno per le risorse, fa presto a diventare etnico, più precisamente tra gli Ngok Dinka, che nella guerra civile del 1983-2005 si sono schierati con i ribelli del sud, e i Missereya, tribù di pastori nomadi che appoggiarono Karthoum. Scontri con morti si sono già registrati agli inizi di luglio, mentre hanno cominciato a circolare voci che il potere centrale stia aiutando i Missereya a insediarsi ad Abyei per cambiare gli equilibri etnici e garantire al nord il controllo di una regione strategica. Allo stesso modo, il governo del Sud sta lanciando un programma per far rientrare quella marea di profughi fuggiti al nord durante la guerra civile: oltre un milione e mezzo di persone da riportare a casa con treni, aerei, autobus. "Non è una mossa politica - si affrettano a precisare le autorità - ci stiamo muovendo solo per ragioni umanitarie". Ragioni che dovrebbero proprio sconsigliare una mossa del genere, visto che nel Sud si trovano già 4,3 milioni di persone che hanno bisogno di cibo e assistenza. Probabile quindi che il vero obiettivo sia quello di consolidare gli equiliobri etnici attuali, che garantirebbero il successo dell'opzione indipendentista. Che Karthoum difficilmente concederà, perché nel Sud si concentrano buona parte delle risorse petrolifere e perché la secessione del Sud potrebbe riaccendere altri fronti secessionisti, a ovest, nel Darfur più precisamente, e nella parte orientale dove, nelle regioni del Mar Rosso, Al Qaradif e del Kassala, sono attivi gruppi di ribelli che contestano al governo centrale l'iniqua distribuzione delle rendite petrolifere. Una situazione potenzialmente esplosiva, soprattutto se si considera la posizione del Sudan sullo scacchiere internazionale, una potenza regionale in crescita, entrata in rotta di collisione con gli Stati Uniti e la Gran Bretagna. Non sono poche le forze che sarebbero felici di scommettere su un collasso del Paese. E una eventuale guerra, sarebbe l'occasione per sbarazzarsi definitivamente di al Bashir, sul quale pesa già un mandato di arresto spiccato dalla Corte penale internazionale.

Alberto Tundo

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